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Perché fare Biomeccanica Teatrale

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A chi si rivolge la Scuola

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Corsi di Teatro a Roma: La Palestra dell'Attore si distingue

Associazione Culturale La Palestra dell'Attore: Corsi di Teatro a Roma

Da più di 20 anni i nostri Corsi di Recitazione anche per Principianti, la Scuola Teatro Performer di Ricerca e Professionale e i Laboratori nei Week End a Roma o Residenziali Estivi nelle Marche, sono rivolti a chi attraverso la pratica delle arti performative vuole conoscere sé stesso ed evolvere come essere umano oltre che migliorare come performer (di teatro, cinema, danza, circo, musical etc.).

Alcuni Corsi e attività sono rivolti anche a Studiosi, Scrittori, Registi e Appassionati di Recitazione e Arti Performative o filmmaker.

Si parte quindi dalla conoscenza della propria “macchina” e delle proprie “meccaniche” per non esserne schiavi ma padroneggiarle e trovare, attraverso l’equilibrio tra azione, pensiero e sentimento, la forma espressiva precisa che apra il cuore dello spettatore come una chiave la serratura.

Si parte, quindi, dalla Biomeccanica Teatrale, ovvero da un lavoro pre-espressivo di conoscenza del proprio strumento e dei principi artistici attraverso il fare pratica, attraverso la palestra, appunto.
Da subito si cerca di far acquisire anche il processo creativo di far propria quella pratica.
Solo allora il performer potrà metterla in pratica ed esprimere.

Acquisita la capacità di esprimere sé stesso attraverso l’interpretazione degli altri (personaggi scritti o esseri umani osservati), l’artista autentico deve acquisire la capacità di esprimere gli altri attraverso sé stesso.
Essere un veicolo per la bellezza e l’evoluzione anche degli altri.

ll Teatro deve servire a dare all'uomo l'esperienza e il sentimento che il tempo e lo spazio non esistono facendo vivere situazioni che impongano un alto livello di concentrazione e d'ascolto e quindi ci facciano passare dalla consapevolezza alla coscienza.

Ciò ci fa sentire e ci RENDE LIBERI con indescrivibile piacere ma soprattutto questo ci fa esistere e ESSERE realmente.

Qui l’allievo è libero di andarsene quando vuole. Ciò avviene nelle discipline orientali o in tutte le tradizioni di esercizi che nella semplice pratica quotidiana nascondono un profondo sapere.

Differentemente dalla selva di Scuole di Teatro a Roma qui ognuno può maturare la propria creatività ed espressività senza essere vincolato da anni accademici spesso poco economici, con vari insegnanti e in varie discipline incoerentemente messi insieme.

Il corpo non dice bugie.
Si parte da questo presupposto e da semplici giochi, esercizi fisici e d’improvvisazione di grandi maestri internazionali che formano contemporaneamente tutto il corpo-mente-cuore dell’attore.

Non ci importa di far acquisire dei risultati o delle abilità ma di far incorporare i processi che stanno all’origine della creazione artistica perché rimangano dentro. Scoprire l’imprevisto della vita, il Bios, nella Meccanica del nostro agire, sulla scena e non.

In quali teatri e sedi ci puoi trovare?
A TRASTEVERE (Roma Centro): al Teatro Cantiere, Via Gustavo Modena 92.
O a MONTEVERDE (Roma Sud Ovest): alla Sala in Via Bolognesi, 4, al Teatro Villa Pamphilj VILLA DORIA PAMPHILJ - Largo 3 Giugno 1849 | (Via di San Pancrazio 10 - P.zza S. Pancrazio 9/a) o alla Sede di Viale dei Quattro Venti 31.

Come ci puoi contattare?
Telefono 3469406001
Email: info@palestradellattore.it
WhatsApp https://wa.me/message/BRUDCSSAYEKP

Perchè fare Biomeccanica

IL CORPO NON DICE BUGIE. Non c'è posizione del corpo, azione, camminata o semplice movimento del volto che non esprimano un pensiero o uno stato d'animo. Se l'attore si allena a percepire con precisione queste corrispondenze e a saperle memorizzare fisicamente, potrà ricrearle ad ogni replica. Condizione indispensabile è quindi un continuo addestramento psicofisico che consenta all'attore con sempre maggior facilità un coinvolgimento delle emozioni e un'espressività che partono proprio dalla fisica meccanica del suo corpo-mente. Questo processo è garanzia di potenza espressiva, affidabilità e salute dei nervi rispetto al processo inverso che parte dal "bosco delle emozioni" per arrivare ad un preciso movimento corporeo replicabile.

Biomeccanica Teatrale è l'equilibrio degli opposti. E' quindi la dinamica che sta alla base di ogni disciplina umana che miri alla salute e all'equilibrio del corpo integrato alla mente e di ogni composizione artistica che come tale risponda alla necessità di attrarre e ed emozionare organicamente. Risulterà infatti attraente proprio perché tale equilibrio è il prodotto di un’incessante e sorprendente lotta tra gli opposti. Ed è proprio la precarietà di questo equilibrio che lo rende emozionante.

La Biomeccanica Teatrale è alla portata di tutti (vai a “A CHI SI RIVOLGE La Palestra dell’Attore”), perché questi opposti in equilibrio sono primariamente le forze che agiscono sull’equilibrio del corpo umano (o animale, o di un mare, un pianeta, etc. il Βios, appunto), e il cui sbilanciamento e ribilanciamento organizzato (dalla mente dell’uomo) e organico (cioè che mantiene una sua necessità e non si vanifica in una forma vuota) si trasforma in camminare, correre, danzare, cantare, recitare (progredire ecologicamente, nel caso si agisca sull’equilibrio di un pianeta).

Inoltre, diversamente dall’apprendimento solo mentale, l’apprendimento del corpo contemporaneo a quello della mente, che si pratica in ogni singolo esercizio del training di Biomeccanica, rimane per tutta la vita, perché diventa un processo memorizzato dal corpo, come il camminare, parlare, andare in bicicletta, suonare uno strumento, ballare il tip tap, etc., tutte cose che ormai facciamo “di riflesso”, “senza pensarci”, come una seconda natura.

Biomeccanica è innanzitutto un metodo d’apprendimento. Non si mira all’acquisizione di un’abilità ma attraverso il processo di acquisizione di quella abilità si crea una forma mentis, per cui oltre al risultato ti rimane il processo che lo ha permesso e che ti permetterà sempre di ritornare a quel risultato.

La Biomeccanica Teatrale è solo un training psicofisico per attori o performers, ma è utilissima a chiunque, anche ai non artisti, proprio perché porta ad un “sapere” fisico dell’essere umano “equilibrato” attraverso chiari esercizi e semplici giochi meccanici che hanno delle dinamiche analoghe a quelle dei processi artistici. La stessa cosa avviene nelle arti marziali o nelle filosofie orientali o in tutte le tradizioni di esercizi spirituali che nella semplice pratica quotidiana nascondono un profondo sapere.

Chiunque, anche chi non ha padronanza del proprio corpo, può acquisire questa padronanza attraverso semplici esercizi. E gli esercizi non necessariamente diventano più difficili per chi non è più principiante. Come nelle arti marziali, infatti, è il livello dell’allievo che gli consente di apprendere da quello stesso esercizio più cose e di svilupparle meglio nel training e nella recitazione. Esemplare in questo senso è l’esercizio col bastone: tenere semplicemente un bastone in equilibrio sul palmo della mano necessita di rilassamento (altrimenti non si riuscirebbe nemmeno a sentire il bastone) e ascolto (dalla pancia/centro e non dal braccio/periferia) coinvolgendo così tutto il corpo pur senza fare niente di fisicamente difficile. Ma ad un livello superiore l’allievo può capire che, mantenendo lo stesso ascolto e rilassamento, lo sbilanciamento del bastone (così come qualsiasi altro fattore esterno) potrà aiutarlo anche ad “essere deciso” (creatività originale) e non a decidere cosa fare o dove andare (diventando troppo mentale e prevedibile).

Per spiegare più chiaramente l’incessante e sorprendente lotta tra gli opposti e quindi la Biomeccanica che porta al loro emozionante equilibrio faccio alcuni esempi.

Questi opposti possono essere: la  Roma e la Lazio (se dovessi spiegarlo ad uno spettatore di una partita di calcio), i Capuleti e i Montecchi, Bruto e Cassio, il cuore e la mente di Amleto (e questa è la biomeccanica applicata all’analisi del testo cioè allo studio di QUALI sono le forze in gioco), oppure questi opposti possono essere le 2 anime dello stesso personaggio in lotta per tutto l’arco dello spettacolo con i loro chiaro scuri, i pieni e i vuoti, il legato e lo staccato, il veloce e il lento della loro composizione (biomeccanica, questa, applicata alla Regia, alla Scrittura, allo studio di COME agiscono e si distribuiscono le forze in gioco).

Ma soprattutto e prima di tutto questi opposti sono dentro l’uomo, colui che agisce nello spazio, il performer. Sono le sue intenzioni e le resistenze psicofisiche che incontra dentro e fuori di lui come il proprio corpo, la propria voce, la propria libertà improvvisativa, i materiali con cui interagisce, dagli oggetti della sua immaginazione e memoria agli oggetti fisici che usa in scena o con cui si relaziona, al pubblico stesso; tutti materiali, questi, diversi ad ogni replica (e questa è Biomeccanica applicata alla Recitazione, all’ascolto e gestione degli eventi e delle verità della scena mentre e QUANDO si svolgono, come un calciatore, che è anche allenatore in campo, potrebbe applicarla per gestire strategicamente gli eventi della partita che sta giocando).

Gli esercizi ed etudes di Biomeccanica, così come i procedimenti tecnici di tutte le tradizioni autenticamente teatrali, contengono un codice estetico. Oltre a formare il corpo, infatti, mirano attraverso un sapere fisico alla comprensione dei principi fondamentali dell'espressione scenica riscoperti in Russia da V. E. Mejerchol’d nella prima metà del 900 ma accessibili all'Occidente solo dopo il 1990. Questo training psicofisico è stato tramandato per via diretta fino agli attuali maestri della facoltà di Biomeccanica, Gennadi Bogdanov e Nikolai Karpov, di cui sono stato allievo e assistente all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Mosca (GITIS) così come in italia.

In Italia soprattutto in passato si è rimasti legati ad un teatro commerciale o classico, che spesso è solo di parola o di vuoti allestimenti scenografici o coreografici, e nessuno dei due parte dalla vera essenza del teatro che innanzitutto è la sapienza del corpo-mente dell’attore in uno spazio, anche vuoto.

Spesso chi fa danza e sport ha almeno una buona disciplina, cioè quella determinazione e costanza senza la quale non è possibile ottenere certi risultati, ma spesso non ha quella forma mentis di cui scrivevo prima, che invece consente un certo distacco dalla difficoltà di quel momento e ti riporta a tutte le volte in cui si è trovato un problema simile, oppure ti da quella visione d’insieme necessaria se si vuole continuare a migliorare o, come nell’arte o negli sport di squadra, se si fa parte di una composizione.

Una cosa molto positiva dello sportivo è che deve mantenere ben chiara la necessità di quello che vuole fare altrimenti non riuscirebbe ad organizzarsi per superare quell’asticella o ottenere qualsiasi risultato. Di negativo c’è che deve solo pensare in termini di efficienza (il minimo sforzo per il massimo risultato) e non in termini di bellezza; e il suo contenuto, e ancor più la sua forma, non necessariamente devono emozionare o esprimere emozioni.

L’attore e soprattutto il danzatore invece, come tutti gli artisti, non devono vincere una competizione ma mirano solo ad emozionare, creando atmosfere e forme che spesso però finiscono per perdere la necessità di quello che si vuole fare, mancano cioè di contenuto.

L’uomo normale, infine, è sempre più disorientato e disumanizzato, ha cambiato il suo modo di vedere e non riesce più a fare tesoro delle leggi della natura, non tanto per rispettarla che sarebbe implicito, ma nel riuscire a diventare sempre più saggio e di larghe e lunghe vedute.

I grandi maestri possono usare termini e metodologie diverse ma vogliono insegnare tutti la stessa cosa. Per gli artisti in generale è saper emozionare. Per le arti performative e il teatro, come ho scritto prima, questa sapienza è la sapienza del corpo-mente dell’attore in uno spazio, anche vuoto. Questo comporta un teatro che purtroppo oggi dobbiamo specificare come teatro totale mentre prima non c’era bisogno di farlo. Il teatro vero, cioè quello sopravvissuto in tutti i continenti e in tutte le epoche, è nato come un teatro in cui l’attore è versatile in ogni disciplina performativa (recitazione, danza, acrobatica, canto, musica, improvvisazione, scrittura, regia, composizione) e in grado di esprimere ogni cosa in puro linguaggio teatrale anche attraverso una composizione di tutte le varie arti che sa padroneggiare (sinestesia).

Perciò se riconosco un attore che funziona in questo modo, che ha conoscenza di certe tecniche rispetto a un altro che le ignora, e questo si riconosce dal primo passo che compie sul palcoscenico, allora è perfetto così e basterà che impari i termini con cui io intendo le stesse cose che lui già conosce e non ha bisogno di altra scuola a meno che sia lacunoso sotto qualche aspetto. Ma se veramente ha già una forma mentis da teatro totale non avrà difficoltà ad aggiornarsi anzi sa bene che deve mantenere il suo strumento nelle condizioni migliori. Per questo ho chiamato la mia Scuola di Recitazione La Palestra dell’Attore.

Per finire vorrei dare alcuni esempi dei principi fondamentali di questo lavoro sul corpo-mente:

l'otkaz è il principio della preparazione dell'azione, sia essa un'azione fisica, mentale (ovvero un'intenzione o un'immagine), emotiva, verbale, etc.. La preparazione, come avviene sempre in natura, è un caricamento nella direzione opposta di dove si svilupperà l'azione, e questo reculer pour mieux sauter da sapere fisico deve diventare una forma mentis dell'attore. Grande importanza ha inoltre il principio del freno (tormoz) per riuscire a dilatare lo spazio e il tempo d'azione dell'attore in modo da consentirgli non solo di svolgere orizzontalmente i vari momenti della sua partitura, ma di pensare e montare in maniera verticale la propria recitazione (accenti, sottotesti, immagini, cambi di ritmo e velocità, ascolto delle variabili dell'hic et nunc, etc.). Altrettanto importante il principio del punto (tocka) alla fine della frase/azione, per dare il senso di compiutezza, per ascoltare nella pausa la reazione emotiva, per memorizzare col corpo le peculiarità fisiche (energia, meccanica, forma, equilibrio, etc.) di ogni stato d'animo, per organizzare l'intenzione e la preparazione per l'azione successiva, etc.. E poi ci sono molti altri principi come quello del contrappunto, dell'accento, del tempo/ritmo, della scomposizione e montaggio della propria partitura in sequenze di frasi/azioni, il principio pittorico del rakurs cioè la consapevolezza di quale sia lo scorcio ottimale (frontale, di tre/quarti, etc.) da offrire al pubblico, etc. etc..".

                                                                            Claudio Spadola

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Per ulteriori dettagli sulla Biomeccanica Teatrale Vai a La Lezione Tipo della Scuola Teatro Performer, alla Scuola Teatro Performer, ai Testi sulla Biomeccanica Teatrale di Claudio Spadola e alleInterviste fatte a Claudio Spadola sull’argomento.

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IL DIRETTORE

Claudio Spadola

Collaborazioni internazionali

Di fronte all’opportunità di quella strada scuola di Luigi Proietti che mi aveva ammesso dopo le selezioni (alle quali),

Claudio Spadola

Durante l’adolescenza decisi di voler essere diverso da mio padre, ingegnere edile ed emerito professore delle superiori. Nell’ultimo anno di liceo, che i miei genitori vollero che fosse classico, un’appassionata professoressa d’italiano, appena trasferita alla mia scuola, e i suoi incoraggiamenti verso l’analisi letteraria e il pensiero critico, mi fece innamorare di una materia, l’italiano, che fino allora mi avevano fatto a mala pena tollerare preferendole io sempre le materie scientifiche o ancor più il disegno.

A 19 anni partecipai un po’ per caso e senza alcuna velleità alle selezioni di ammissione alla scuola di Luigi Proietti più per sperimentarmi in una strada che avevo scelta alternativa a quella dei miei genitori che per determinata aspirazione artistica e insperatamente e forse anche lì un po’ per caso fui preso. Al momento di dover scegliere se fare o meno la professione d’attore, mi fermai a parlare con l’essenza di me e mi dissi: “Voglio fare teatro perché voglio conoscere me stesso. Mi basterebbe riuscire a viverci, e magari avere anche una famiglia”.

Lasciai il corso professionale della regione Lazio per programmisti radiotelevisivi che mi avrebbe instradato verso lavori molto meno precari alla Rai o in qualche neonata emittente privata, continuai blandamente il corso di laurea in Lettere e mi avventurai nel mondo del teatro.

Sprovveduto e ingenuo come ero rispetto ai miei compagni di accademia e poi ai miei colleghi attori, ci misi molti anni prima di riuscire a trovare la faccia tosta giusta per mettermi sul mercato professionale, ma in fondo e per fortuna ho sempre sentito la ricerca e la crescita prima personale e poi (o quindi) professionale come i veri motori del mio fare l’attore. Finché non trovai i maestri che mi fecero comprendere che non si può fare l’attore ma esserlo. Lo fui. Smisi di essere un falso attore e divenni credibile, per primo a me stesso. Ma ci vollero un po’ di maestri per la metamorfosi.

Ringrazio Antonio Fava che mi ha fatto innamorare di quel semplice e geniale strumento per canalizzare le energie fisico emotive e le potenzialità drammaturgiche compositive che è la commedia dell’arte. Attraverso i suoi perfetti ingranaggi e attraverso la maschera, ho conosciuto un me stesso che da tanto tempo premeva d’uscire e non trovava quella forza, quella follia, quell’organica primitività e quella poesia che la commedia all’improvviso mi ha fatto scoprire. Lo ringrazio anche per la sua generosità, stima, fiducia e amicizia che, grazie anche a sua moglie Dina, mi consentì al posto suo, appena divenuto padre, di rappresentare l’Italia all’Encuentro Teatral Tres Continentes alle Canarie con un mio appena partorito spettacolo di commedia dell’arte.

Ma soprattutto ringrazio Dominique De Fazio per avermi riportato, per la prima volta in maniera integrale e irreversibile, iniziatica di fronte al mio auspicio giuramento. Nel 1990 per essere ammessi a studiare con lui, anche ad un semplice seminario di pochi giorni, si doveva rispondere alla domanda sul perché si voleva intraprendere quel percorso (con lui). Un caro amico e meraviglioso collega, Manrico Gammarota, morto assai giovane, che allora faceva parte dei suoi numerosi assistenti e allievi, prese il questionario che avevo compilato stracciò la mia risposta a quella domanda nevralgica che credo formulai con qualcosa sullo stampo di “perché voglio perfezionare la mia professione d’attore etc. etc.” e mi disse su per giù: “Claudio, dì la verità. Tu vuoi conoscere chi sei. Scrivi allora che vuoi conoscere te stesso”. Con lui studiai, piansi e rifondai me stesso, e quindi il mio essere attore, per 5 anni.

Dal momento che fui attore volli anche essere regista e autore dei miei spettacoli anche quando erano messe in scena di testi d’autore. Poi amai e scelsi pervicacemente di immergermi e riemergere dai testi dei grandi autori, di teatro e non, quelli che scrivono col sangue. Quelli che non ci dormono la notte finché non creano quell’opera. Ma questa è una necessità soprattutto degli ultimi 20 anni, allora dovevo sperimentarmi anche come autore e regista di spettacoli da vendere. Ma per fortuna la mia essenza mi spingeva sempre e comunque al mio auspicio-giuramento iniziale, e continuai a cercare maestri. In fondo lo stesso Proietti me lo disse agli inizi. “Devi trovare un maestro” mi rispose quando alticci all’uscita da un locale in una delle tante notti dopo l’ennesima replica del Cirano in giro per tutta l’Italia, presi coraggio e gli chiesi a brutto muso: “Gigi, ma io posso fare questo mestiere?”

Ringrazio Nikolai Karpov (…) to be continued

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